La vita bugiarda degli adulti

Scrivere di Elena Ferrante non è semplice; per intenderci, mi sento un po’ come un topolino al cospetto di un elefante. Sono tra coloro che si sono appassionati ai capitoli de L’Amica Geniale ben prima del successo mondiale o dell’uscita della serie tv (che ho trovato molto bella e fedele alla storia).  

Giovanna la protagonista di questo romanzo, che muove i suoi passi incerti nella cornice di una Napoli ancora una volta divisa tra realtà socio economiche contrapposte, porta dentro di sé molto di Lenuccia e di Lila (protagoniste de l’Amica Geniale). In particolare ne condivide i tumulti interiori dell’adolescenza che si fa più cruda e complessa quando il confronto con il mondo degli adulti costringe ad una brusca sterzata dall’innocenza alla realtà. E’ questo che accade a Giovanna quando, di nascosto, sente il padre  dichiararsi preoccupato per la crescente somiglianza della figlia con sua sorella Vittoria. Per Giovanna zia Vittoria è solo un nome, un nome che porta scompiglio e gela l’aria.  Non l’ha mai vista, se non da molto piccola, e sa che i genitori evitano perfino di nominarla. Zia Vittoria è cattiva, zia Vittoria è brutta, zia Vittoria è rozza e ignorante: queste le parole con cui l’hanno sempre descritta in casa sua. Allora come è possibile che suo padre, da sempre dolce, amorevole e fiero della sua bambina, possa accostarla ad una figura che disprezza così profondamente? Cosa sta accadendo in lei che non va? L’insicurezza, il buio accecante di chi si ritrova senza il sostegno delle sole persone di cui mai avrebbe dubitato, la portano verso un’unica strada, voler conoscere il volto di quel futuro cui suo padre, ignaro di essere ascoltato, l’ha condannata. Giovanna vuole incontrare zia Vittoria a tutti i costi.

“Sono Giovanna, zia”.

“ Lo so che sei Giovanna, ma se mi chiami zia un’altra volta, è meglio che giri le spalle e te ne vai”.

Feci cenno di sì, ero atterrita. Le guardai per pochi secondi il viso senza trucco, poi fissai il pavimento. Vittoria mi sembrò di una bellezza così insopportabile che considerarla brutta diventava una necessità.

L’ingresso di questa figura nella sua vita sarà destabilizzante: la lite alla base della feroce separazione tra suo padre e Vittoria porta con sé ragioni e posizioni complesse rispetto alle quali i genitori, da sempre suoi incontestabili modelli, finiscono per traballare aggravando oltremodo lo smarrimento della ragazza. La netta separazione tra giusto e ingiusto, tra buoni e cattivi come i suoi genitori gliela avevano rappresentata non è più così certa. 

Ciò che emerge fin dal primo incontro tra zia e nipote è la ruvidezza di Vittoria, l’enorme complessità interiore, la profonda contraddizione e l’innegabile trivialità (per riportare un vocabolo molto usato dalla Ferrante) che sono parte di lei e si svelano attraverso le fattezze del suo volto, nei suoi gesti.  L’ovvia correlazione tra la natura dei sentimenti che ci governano e l’aspetto che questi sentimenti ci restituiscono (facendoci apparire belli o brutti, malevoli o amorevoli, rozzi o eleganti) domina le descrizioni dei personaggi e dei loro stati d’animo. 

Mi dissi: sì, è arrabbiata per fatti suoi che non so, o è preoccupata per Corrado. Noi due siamo fatte così, con i bei pensieri diventiamo belle ma imbruttiamo coi cattivi, dobbiamo strapparceli via dalla testa.

 Giovanna farà propria questa corrispondenza quando nella sua mente di adolescente si innescheranno immancabili meccanismi di opposizione e di sfida verso tutto quello che i genitori le avevano sempre insegnato ma che ora sconfessano attraverso scelte egoiste e  continue menzogne presto rivelate da fatti che la sconvolgeranno del tutto.

In quei giorni ero particolarmente irrequieta, non mi sentivo bene, avevo la tosse. Mi consideravo orribile e volevo essere ancora più orribile. Già da un po’, prima di andare a scuola, mi industriavo davanti allo specchio per vestirmi e pettinarmi come una pazza. Volevo che la gente stesse malvolentieri con me, esattamente come io cercavo in tutti i modi di far capire che stavo con loro

… Cosa succedeva, insomma, nel mondo degli adulti, nella testa di persone ragionevolissime, nei loro corpi carichi di sapere? Cosa li riduceva ad animali tra i più inaffidabili, peggio dei rettili?

Mi sono dilungata molto e forse dovrei farlo ulteriormente per tentare di riportare, comunque parzialmente, la pienezza e la complessità di personaggi e situazioni che, seppur comuni a noi tutti, raramente vengono sviscerati con tanto crudo realismo. La difficoltà di crescere e di comprendere “la vita bugiarda degli adulti” che si fa giudizio severo verso i loro comportamenti e le conseguenze che ne derivano; la necessità di prendere le distanze da tutto disobbedendo e contravvenendo a regole e valori (traditi) impartiti dagli adulti; la ricerca di modelli alternativi; in ultimo la comprensione della fallibilità dei grandi e, acquisita questa consapevolezza, la necessità di trovare una propria strada: sono questi i passaggi di vita che Giovanna ci porta a ripercorrere insieme a lei. Chi più, chi meno vi si riconoscerà o troverà lo spunto per riprendere qualche tappa sospesa, certi che l’ultima, comunque vi si arrivi, è sempre la più importante. 

P.S. il romanzo sarà presto una serie tv realizzata da Netflix e Fandango

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