La donna degli alberi

Chi di noi non ha pensato almeno una volta nella vita di scappare. Di lasciare tutto quanto ci lega ad una vita omologata ed abbandonarsi ad una dimensione di pace, di  solitudine costruttiva  in un appagante silenzio rotto dai soli rumori della natura?

La protagonista dell’ultimo romanzo di Lorenzo Marone supera la barriera del “se potessi” e passa al concreto. E’ una donna senza età e senza nome che lascia la città per trasferirsi nella baita di famiglia sul Monte. Trascorrerà un freddo inverno e le fiorenti stagioni che lo seguono in un luogo che odora di suo padre e di infanzia in compagnia del bosco e dei suoi abitanti. 

“La nostalgia ha nutrito la mia sera e mi ha procurato il rimpianto di quello che non c’è più, il desiderio di ciò che era. Il tempo lontano dell’infanzia mi ha inferto la ferita di chi viene tradito… E’ un dolore strano il ricordo, è abbraccio che toglie l’aria, carezza che graffia, è immaginazione senza via di fuga, c’è anche quando sembra non esserci”.

Circondata dalla natura con le sue regole severissime che garantiscono l’ordine perfetto di tutti gli esseri viventi, proverà a ritrovare il suo stesso equilibrio senza sottrarsi a momenti di vita e di riflessione spesso dolorosi che le consegneranno una nuova immutabile identità. La sua.

“L’inizio del giorno era nello sbattere d’ali di un uccello, nel dolce mormorio delle foglie, nel cigolio dei rami piegati dalla corsa frenetica di uno scoiattolo, nel brusio degli insetti.  Ho sostato lì dove gli alberi smettevano di rincorrersi e mi sono ritrovata a riflettere sul mondo distratto che ho lasciato a valle, su quanto sia impossibile oggi essere e restare in un solo pensiero….siamo sempre in più cose contemporaneamente, deviati dal compito che ci spetta, incapaci di tenere il mondo fuori”. 

Più che un romanzo La donna degli alberi è un viaggio introspettivo, un’analisi che scava dentro a ciascuno di noi che ci troviamo inevitabilmente coinvolti in prima persona dai percorsi interiori e profondi della protagonista. 

Chi come me ha amato ogni libro di Lorenzo Marone tanto da porlo di diritto sul personale podio degli scrittori preferiti, non può che essere colto nelle prime pagine da un attimo di smarrimento. Niente dialoghi illuminanti, nessuna sottile ironia a servizio del racconto, nessuna Napoli bellissima e complicata sullo sfondo. Lo stile narrativo lascia spazio a quello poetico e solo dopo avervi trovato conforto ed aver ravvisato l’abituale pienezza di Marone in una nuova dimensione narrante ci si può spalancare ad un’esperienza nuova. 

Sono solita porre delle orecchiette sulle pagine dei libri e sottolineare le frasi che ritengo meritevoli di una rilettura, di un ritorno, di un approfondimento. La donna degli alberi ne è pieno. Riporterò ancora qualche esempio in chiusura, ma è il caso di leggerlo per capire. Alla fine avrete la sensazione di avere concluso un viaggio più che una lettura.

“Tutti quelli che negli anni mi hanno fatto sentire sbagliata e mi hanno tolto il sorriso hanno fallito, la mia meravigliosa condanna è pensare che il bello debba ancora venire. Qualcuno mi darà della stupida, o dell’ingenua, ma tant’è, esco nei campi la mattina e mi dedico a fiorire, nonostante tutto studio l’erba, scruto il Monte, chiedo alla lucertola e alla farfalla sulla serenità. E non ho altro per la testa, non mi faccio prendere dal dopo, sto nel presente, finalmente, il balenio che arriva e passa non mi deve trovare impreparata.”

“Ho imparato a non desiderare ciò che non ho, a non aspettare chi non c’è, preferisco tirare avanti, che tanto le cose belle arrivano quando non ci pensi più. A questo cielo immenso e profondo non chiederei nulla di terreno…A una di queste stelle che precipitando si fanno polvere potrei domandare di darmi lo sguardo dei bambini, farmi stare nel mondo a modo loro, fidarmi della vita non per necessità ma per scelta…Alla fine non  ho chiesto nulla…Però se devo vivere, piccola stella cadente in questa notte buia come tante, allora devo credere. Perciò, ti prego, se puoi, portami un po’ di forza per aiutarmi ad inseguire ancora l’assurdo, rendimi stupida un altro giorno, così che possa pensare di riuscire a mettere armonia nel mondo coi miei gesti. E solo dopo fammi libera”.

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